#strano

Quando ero piccola, mia mamma ci ripeteva spesso "il coraggio non è la mancanza di paura; è la consapevolezza che là fuori c'è qualcosa di più grande della paura stessa".
Un piccolo motto che ci siamo sempre portati dietro; che ho accolto, odiato, rielaborato, accettato, e di nuovo odiato.
Tutt'ora mi fa uno strano effetto, a riprensarci.
Negli anni, mi sono spesso domandata "in che senso c'è qualcosa di più grande della paura? Come potrebbe spingermi a fare qualcosa?".
Premetto che in gioventù sono sempre stata una grande paurona, sempre pronta a scappare spaventata vedendo la mia ombra. Persino adesso, mi viene rimproverato spesso di non buttarmi abbastanza nelle cose, rimanendo sempre a pensare e rimuginare su tutto, prima di prendere una decisione.

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Credo che ci si possa riferire ai nostri veri desideri; alle nostre reali necessità.
Oltre quel muro trasparente che è la paura, possiamo scorgere ciò che desideriamo, ciò per cui siamo arrivati fino a quel momento.
Può sembrare una barriera dura da scalfire, difficile da abbattere, ma è proprio là dietro che si trova ciò di cui abbiamo bisogno; ciò che determinerà in qualche maniera il nostro futuro, che deciderà chi saremo più avanti.
Oltre alla paura, ci siamo noi.

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giudicarlo. Almeno lui, a differenza di qualcun altro, ha avuto il pensiero di tentare di ricucire l'amicizia che li ha legati in quei mesi estivi. Ride a quella bonaria presa in giro, non sentendosi offesa per così poco. ‹ Sempre! Ma in verità non mi piacciono granché le creme o la panna. In generale i dolci non mi ingolosiscono molto. Preferisco il salato. › spiega mettendo già mano al portafoglio, ma Tate la precede, proponendosi lui stesso di pagare. ‹ Ma Tate... › bofonchia, roteando le pupille. Le fa piacere quel gesto di cortesia, certo, ma al tempo stesso non vuole che sprechi soldi per lei. Anche se ormai ha poco da borbottare. Mormora dei ringraziamenti, stringendo il cono nella mancina e annuisce, dirigendosi verso la panchina. ‹ Dai su! Non tenermi sulle spine! › ❫

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« Mhmh, capisco. Ma poi sbaglio o per te certi gusti, come ad esempio il cioccolato, sono veleno? » domandai, curioso di saperne di più. Taylor era un cane, ma aveva anche una forma umana, per questo mi chiedevo se mangiare alcuni alimenti dannosi per la sua natura ferina, potesse o meno avere un impatto negativo su di lei. Ci sedemmo su quella panchina e iniziammo a mangiare i nostri coni gelato. Dalla sua esortazione capii che voleva davvero sapere di Rachel e che non si stava comportando in quel modo per semplice cortesia. Le sorrisi, sentendomi già in imbarazzo: mi faceva strano parlare alla mia ex crush di una mia crush corrente. « Ci siamo conosciuti a Los Angeles quando io avevo diciassette anni e lei quindici. Era solare e un po' pazza, dunque non poteva non attirare subito la mia attenzione. Abbiamo fatto sēsso e siamo rimasti in buoni rapporti per qualche mese prima di perderci completamente di vista. Al college ci siamo ritrovati, precisamente da quando io e te abbiamo smesso di parlarci, e... non so, a me piace parecchio. Mi fa stare bene. Non c'è solo un'intesa fisica, ma anche mentale. Se solo non fosse libertina... potrei avere qualche chance. »

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proprio nello stesso modo, ma quantomeno ad avere un rapporto amichevole. Si sono dati appuntamento al parco per il pomeriggio per mangiare il famoso gelato di cui avevano parlato per messaggio, dunque è lì che Taylor si è diretta. Lo avvisa con un breve messaggio per dirgli che è lì e lo attende, contenta di poterlo rivedere dopo tanto tempo. ❫

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Ero nervosissimo al pensiero di rivedere Taylor. E non perché mi piacesse ancora (avevo una certa hippie fattonä per la testa), bensì per l'infinità di cose che avremmo avuto da dirci. Uscire dopo così tanto tempo noi due, da soli, insieme... era strano. Chissà se saremmo morti dall'imbarazzo. Non risposi al messaggio che mi mandò: tanto ero quasi arrivato. La vidi in lontananza e non appena la raggiunsi, la strinsi in un forte abbraccio. « Mi sei mancata tanto. » sussurrai, accarezzandole la schiena prima di prendere le distanze. « Come stai? Spero bene! »

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dragon cycle. ❝ Non ci avevo proprio pensato... scusa! Quindi ti piace? Lei è Nyx, la mia dragon cycle. La mia compagna. Trattala bene, mi raccomando. ❞ Nyx era ben più che la mia compagna, era quasi una parte di me. Infatti si accorse subito del mio disagio, e risultò un poco ostile a Tate. Così mi avvicinai, per darle anche io qualche carezza. ❝ Susu, anche tu, fai la brava. ❞ ❫

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« Che roba è una dragon cycle? Per me è un Miraidon. » ed ero fortemente convinto di questa cosa: era identico a lui. IdenticA. Vabbè, avete capito. Si mostrò ostile a me comunque, probabilmente perché non mi conosceva e per questo ritrassi la mano, pensando piuttosto a inviare la foto che avevo appena scattato alla bro Ramona. Tornai poi a rivolgere la mia attenzione a Xylia. Sorrisi. « Sei carina. E anche molto... bassa. » dissi soltanto, facendole cenno di seguirmi dentro.

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ʜᴇʀᴍᴀɴ﹕ « Tasca destra, colore blu. Se l'hanky code non è un'opinione, stai cercando del sēssō anālē passivō. Ti facevo più attivō, se devo essere sincero. Ma va bene lo stesso. »

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Il gargoyle scoppiò in una risata, scuotendo la testa. Nel frattempo, le sue guance avevano assunto un colorito rossastro. Non era abituato alle avances degli uomini, né aveva alcuna intenzione di riceverne: gli faceva strano. Sentiva che fosse sbagliato, sia per una sorta di omofobia interiorizzata che per i sentimenti che stava iniziando a maturare per la rossa. Nonostante non ci fosse nulla di ufficiale o concreto tra loro, sentiva di doverle restare fedele.

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ᴊᴇᴀɴ﹕ « Tu sei completamente fuori di testa. Ho messo il fazzoletto nella tasca destra solo perché mi piaceva. Che il colore sia blu, poi, è solo una mera coincidenza. ( ... ) Ora devo andare. »

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ʜᴇʀᴍᴀɴ﹕ « Jean, aspetta... »

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ᴊᴇᴀɴ﹕ « Che c'è?! »

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Non ebbe neanche il tempo di finire la frase che le labbra del ragazzo si posarono sopra le sue. Fu un gesto passionale, sentito, che Herman stava trattenendo da un lasso di tempo inquantificabile per evitare di rovinare la loro bellissima amicizia. Non aveva più retto. In un primo momento di smarrimento, Jean rimase paralizzato; poi ricambiò, più per curiosità che per altro. Si sentiva... diverso. Non gli faceva senso, però, non gli stava neanche “scattando” qualcosa. Insomma, non sapeva dire se gli stesse piacendo o meno, anche perché c'era qualcuno di / molto familiare / che stava assistendo alla scena. Qualcuno che il francese conosceva fin troppo bene: Celeste. Si era voltata dalla parte opposta ed aveva iniziato ad andarsene con la stessa rapidità con cui era venuta. A quel punto gli venne spontaneo scansare Herman con forza, come se niente di tutto ciò fosse accaduto. La sua mente aveva già rimosso.

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2️⃣

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Jean era andato alla festa di compleanno di Christine Fahlenbock, in arte Ziggy Moondust, insieme alla sua migliore amica Audrey. Sebbene non fosse il massimo della socievolezza, voleva vedere con i suoi stessi occhi (o forse sarebbe più appropriato dire “occhio”) la ragazza che aveva rubato il cuore dell'aspirante avvocato. Era sempre stato protettivo con le persone a cui teneva e la Tarun, ovviamente, era inclusa in quel ristrettissimo pacchetto.
Quando rimase solo, si diresse verso il tavolo delle bevande per riempirsi il bicchiere di gin tonic. Non sembrava esserci alcuna traccia di Celeste, per questo si diede mentalmente dell'idiōta: avrebbe dovuto invitarla. A dire il vero, il pensiero gli aveva accarezzato la mente diverse volte, ma non voleva sembrare un sottone; avevano condiviso una notte insieme, guardando un film e facendosi le coccole e così era bastato. A suo avviso, era meglio non spingersi oltre. L'amore non faceva per lui, ancor meno se questo coinvolgeva un'altra donna mortale. In parole povere: stava gettando nel cēssō i consigli che la sua migliore amica gli aveva dato per telefono. La paura irrazionale di rimanere solo come un cane, di essere abbandonato per sempre, lo spingeva ad autosabotarsi di continuo.

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??? : « Carino il fazzoletto. »

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Girandosi a centottanta gradi mise a fuoco l'immagine di Herman, il suo collega e compagno fidato al corso di scultura. Nell'ultimo periodo si comportava in modo strano e Jean non riusciva a capirne il motivo, oppure si rifiutava di accettarlo. Inarcò un sopracciglio a quel commento, indeciso su cosa rispondere. Non voleva sembrare sgarbato, anche se si sentiva non poco a disagio con lui: sapeva che era apertamente omosessuale. E sapeva anche che, da diverso tempo, gli stava facendo il filo. Non era mica nato ieri.

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ᴊᴇᴀɴ﹕ « Ti ringrazio, suppongo... »

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ʜᴇʀᴍᴀɴ﹕ « Eddai, non fare il finto tonto con me. »

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ᴊᴇᴀɴ﹕ « Che intendi? Io non sto facendo proprio nulla. »

1️⃣

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