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L'aria era pungente quella domenica mattina: mi graffiava violentemente il volto e mi scompigliava i capelli, facendoli danzare con leggiadra. La nota positiva era che non vi era scuola quel giorno, quella negativa era che eravamo in visita, io ed i miei genitori, alla tomba di famiglia, venuti a trovare mio nonno e mia nonna, gli unici che io abbia mai conosciuti da parte di mia madre; quelli di mio padre erano morti quando io ero appena nata, mi rammaricava un po' non averli conosciuti ma a detta di papà erano delle persone orribili quindi, come era mia consuetudine fare con le persone per le quali provavo disgusto, abbassai docilmente la testa e li maledii mentalmente.
Sospirai.
I miei genitori erano andati a ringraziare il sacerdote, mentre io dovevo occuparmi dei fiori.
Andai così a comprare sei rose bianche: tre per la nonna e tre per il nonno; erano simbolo di amore eterno e puro. Presi poi il secchio e andai giù di sotto, vicino le tombe altrui, a riempirlo con acqua ghiacciata e ne bevvi anche un po', essendo assetata notevolmente.
Non vedevo l'ora di tornare a casa e mettermi a scrivere qualche racconto macabro, crogiolarmi nella solitudine e rimanere lì per l'eternità magari, senza nessuno, senza nessuno che mi rompesse i cosiddetti che non avevo, così, dal nulla.
In ogni caso, una volta messi nei vasi stretti e lunghi di colore azzurrognolo i fiori, mi sedetti a terra, poggiando lo zaino tra le gambe e mi strinsi al petto il mio coniglietto di peluche rosa pastello che profumava di lillà e uva spina.
Quel giorno indossavo una gonna corta a balze ed una camicia larga a maniche corte dei Suicide Silence e mi sembrò perfetta in quell'ambiente tetro ed oscuro che tanto amavo.
Spesso andavo al cimitero per godermi l'atmosfera, mi sedevo accanto una tomba qualunque, salutavo e ringraziavo per l'ospitalità e mi mettevo a leggere o a scrivere, così tirai fuori dallo zaino un libro horror che stavo leggendo al momento, d'un autore a me sconosciuto, appena scoperto, che già stavo amando. Ma non leggevo solamente libri horror, amavo moltissimo anche i romanzi, i fantasy e cose così, anche i gialli non mi dispiacevano, ma non erano di gran lunga i miei preferiti.
Sospirai, per poi prendere un sonoro respiro e tornai alla lettura, quando però, qualcosa catturò la mia attenzione.
Mi sembrava di non essere più da sola.
I miei genitori non erano ancora tornati.
Non si trattava del sacerdote.
E nemmeno della fiorista.
O di qualche altro visitatore, no.
Non riuscivo a comprendere chi fosse, così, sempre rimanendo seduta a terra a gambe incrociate cominciai a guardarmi attorno, fino a quando non vidi una curiosa figura che mi fissava tra le gambe: le mie mutandine erano scoperte, ma non mi coprii, anzi, ne ero divertita, allargai di più le gambe e tornai alla mia lettura, come se niente fosse.
Ignaro il gioco della voluttà.
Ove io vincevo sempre.
Sospirai.
I miei genitori erano andati a ringraziare il sacerdote, mentre io dovevo occuparmi dei fiori.
Andai così a comprare sei rose bianche: tre per la nonna e tre per il nonno; erano simbolo di amore eterno e puro. Presi poi il secchio e andai giù di sotto, vicino le tombe altrui, a riempirlo con acqua ghiacciata e ne bevvi anche un po', essendo assetata notevolmente.
Non vedevo l'ora di tornare a casa e mettermi a scrivere qualche racconto macabro, crogiolarmi nella solitudine e rimanere lì per l'eternità magari, senza nessuno, senza nessuno che mi rompesse i cosiddetti che non avevo, così, dal nulla.
In ogni caso, una volta messi nei vasi stretti e lunghi di colore azzurrognolo i fiori, mi sedetti a terra, poggiando lo zaino tra le gambe e mi strinsi al petto il mio coniglietto di peluche rosa pastello che profumava di lillà e uva spina.
Quel giorno indossavo una gonna corta a balze ed una camicia larga a maniche corte dei Suicide Silence e mi sembrò perfetta in quell'ambiente tetro ed oscuro che tanto amavo.
Spesso andavo al cimitero per godermi l'atmosfera, mi sedevo accanto una tomba qualunque, salutavo e ringraziavo per l'ospitalità e mi mettevo a leggere o a scrivere, così tirai fuori dallo zaino un libro horror che stavo leggendo al momento, d'un autore a me sconosciuto, appena scoperto, che già stavo amando. Ma non leggevo solamente libri horror, amavo moltissimo anche i romanzi, i fantasy e cose così, anche i gialli non mi dispiacevano, ma non erano di gran lunga i miei preferiti.
Sospirai, per poi prendere un sonoro respiro e tornai alla lettura, quando però, qualcosa catturò la mia attenzione.
Mi sembrava di non essere più da sola.
I miei genitori non erano ancora tornati.
Non si trattava del sacerdote.
E nemmeno della fiorista.
O di qualche altro visitatore, no.
Non riuscivo a comprendere chi fosse, così, sempre rimanendo seduta a terra a gambe incrociate cominciai a guardarmi attorno, fino a quando non vidi una curiosa figura che mi fissava tra le gambe: le mie mutandine erano scoperte, ma non mi coprii, anzi, ne ero divertita, allargai di più le gambe e tornai alla mia lettura, come se niente fosse.
Ignaro il gioco della voluttà.
Ove io vincevo sempre.