So che non si dovrebbe rispondere a una domanda con un'altra domanda. Eppure ti chiedo:
Si può guadare un fiume senza bagnarsi i piedi per attraversarlo?
No.
O meglio:
no, se l'unica opzione a cui riesci a pensare è quella di immergerti in esso per arrivare all'altra sponda.
Ma se la corrente fosse talmente impetuosa da mettere a repentaglio la tua incolumità?
O l'acqua troppo profonda e tu non sapessi nuotare?
E se non esistesse una medicina, oppure avesse effetti collaterali dannosi ed esiti addirittura più devastanti di ciò che dovrebbe curare?
Rinunceresti?
O cambieresti approccio pur di raggiungere diversamente ma comunque, la meta/il risultato?
Per ciò che so, quando un ambiente diventa ostile, la sopravvivenza richiede sempre un'evoluzione, fisica o mentale.E l'evoluzione, immancabilmente, implica un cambiamento, magari impercettibile all'esterno, ma comunque significativamente rilevante al risultato.
Circa al guarire invece, non mi sento di dire in modo inequivocabile e senza che qualche dubbio mi sorga, che esso sia il presupposto necessario dell'evoluzione, né se sia sempre possibile farlo o se una cura efficace esita.
C'è chi ha scritto che laddove c'è il pericolo cresce anche ciò che salva, ma a volte anche una corda lanciata da una mano amica salva dalla forza di una corrente che spazza via.
In questa risposta ahimè vaga mi sono sovvenute situazioni per cui avrei potuto dire alternativamente: sicuramente si/sicuramente no.
Tuttavia, in ognuna di esse il cambiamento è stato la chiave. O la corda inattesa .⚓
"I cambiamenti si producono solo nei momenti in cui incontri davvero un’altra persona. Di solito sono attimi, tempi minimi, ma con una importanza decisiva nelle nostre autobiografie. Quasi mai nei siamo consapevoli. Pensiamo che sia il tempo, lentamente e ostinatamente, a cambiarci. Invece il tempo in sé non cambia nulla, al massimo invecchia. Le persone incapaci di incontrare davvero gli altri non cambiano”
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