*Ridusse gli occhi in una fessura, una smorfia composta da diverse sfaccettature dipingeva il suo giovane e cereo viso.* Si sente nella posizione di imporre ordini a... Me? *L'arma fu ripuntata severa contro l'alata.*
*Si affacciò dalla colonna, fissando l'arma con gli occhi violacei spalancati.
Solitamente sarebbe uscita immediatamente, tuttavia la vista di quell'arma la terrorizzava, e non poco..* P-potreste ritirarla, p-per favore? Me ne andrò s-subito, la prego..!*naturalmente si riferiva all' arma che (…)
(…)*Indicò con una mano tremante la pistola che le stava puntando, sebbene la risposta fosse ovvia.
Era letteralmente paralizzata dalla paura, non riusciva neppure a smuovere le ali..
Strisciò lontano, andandosi a nascondere dietro ad una colonna di marmo.*
*La punta dell'arma si riflettè nel pavimento, non era sua intenzione prendere le redini della vita di quella creatura alata e porre fine alla sua esistenza. Una particolare sensazione pervadeva la sua mente, che lo condusse ad assumere una condotta inconsuetamente pacifica.* Ti ordino di lasciare questo palazzo, chiunque tu sia.
*Stava per rispondere, quando si accorse della pistola..
La parte in lei ancora umana prese il sopravvento, impedendole di reagire alla vista di quell'arma.
Indietreggiò, inciampando nei suoi stessi passi e cadendo all'indietro, sul freddo pavimento..* C-cosa vuole fare con quella? (…)
(…) troviamo e in quale luogo? *chiese cortesemente, scrutando la figura che si trovava dinnanzi ai suoi occhi violacei, e sorprendendosi nel vedere che si trattava di un ragazzino piuttosto magro...*
*La sua epressione si rivelò maggiormente incomodata da quella voce talmente melliflua da nausearlo. Non riusciva a credere veritiere le parole di quella strana donna che risultava essersi infiltrata in casa sua. Uno dei compiti del suo maggiordomo era quello di allontanare qualsiasi persona avesse avuto l'intenzione di accedere all'interno dell'edificio. Per un istante le palpebre venose comprirono l'unica iride esposta e sorrise compiaciuto dell'atto mancato del suo inserviente più fidato.* Io sono il Conte Phantomhive e questa è la mia abitazione. *Accentuò il timbro di voce quando pronunciò il suo nome. Con un movimento leggero estrasse una pistola damascata dall'interno della sua giacca e gliela puntò contro. Nel corso della sua breve esistenza aveva già avuto a che fare con un angelo, e non fu per niente piacevole. Era impressionante vedere un bambino apparentemente innocuo impugnare saldamente un'arma da fuoco, pronto a colpire quell'essere senza esitazione.*
*Spalancò gli occhi violacei, rizzandosi in piedi non appena avvertì la voce..* S-salve..*salutò educatamente, chinandosi sino a formare un angolo retto più che perfetto.* Il mio nome è Lullaby, vengo dal futuro, ma vengo in pace... temo di essermi persa, posso chiederle in che anno ci (...)
(…) con entrambe le mani.
Dietro di lei, le sue ali dalle sfumature purpuree e la gonna bianca del vestito ricoprivano il pavimento.
Si stropicciò un occhio con una mano, guardandosi intorno...* C'è nessuno? *provò a chiamare con la sua esile vocina..*
*Si trovavano nel grande salone del maniero Phantomhive. L'ambiente era sfarzoso, il pavimento a scacchiera che rimandava al passatempo preferito del nobile, gli ornamenti in oro erano privati della luce del sole e dominati dall'ombra data dai pesanti -e asfissianti- drappeggi di tende colo porpora. I rintocchi dell'orologio sembravano scandire un ritmo ipnotico. A completare l' aura di assidio erano gli imponenti quadri che sembravano fissare i presenti in qualsiasi direzione si spostassero. Alle spalle della figura femminile riecheggiavano i passi delle scarpe con tacco di Ciel. Elegante ma contemporaneamente imperterrito si avvicinava a lei. Notò immediatamente il candore delle piume e a questo seguì una smorfia di profondo disgusto, ben nascosto dalla sua controllata calma.* Chi siete e cosa ci fate qui?
Dove mi trovo..?*La dolce voce di Lullaby risuonò all' interno di un grande luogo a lei sconosciuto.
Aveva da poco compiuto un viaggio nel tempo, andando indietro di qualche secolo, ma forse aveva esagerato, e non appena era arrivata aveva perso i sensi.
Alzò il busto, reggendosi al terreno (…)
*Si soffermò a guardare l'ultimo simbolo di quel breve messaggio dall'ambiguo significato per il Conte* (Questo simbolo l'ho già visto... Che sia collegato al caso degli uomini appesi a testa in giù? Possibile che mi sia sfuggito qualcosa?)
Mi stai antipatico e vorrei metterti il veleno il quel fottuto thè!
Chi se la sarebbe mai aspettata tanta efferratezza da un povero sognatore con episodici contatti con la realtà? Non so cosa farmene delle tue premeditazioni, come puoi facilmente constatare... *Le dita macilente raggiunsero la manica ad ansa della tazzina e la condussero alla bocca.*
Ne sono allergico e in più preferisco i cani. (A differenza di quel gattofilo di Sebastian...) *Mise le braccia conserte e un sospiro fu accompagnato al gesto delle braccia. Scosse lievemente la testa come per far dissolvere il pensiero che gli arrecava fastidio*
Assolutamente niente. Sebastian è soltanto il mio maggiordomo, la mia forza, il mio braccio. È soltanto una pedina che si deve muovere secondo le decisioni di chi lo comanda. Ridimensionando questo rapporto nel gioco degli scacchi lui non è che un cavallo che prende ordini dal suo cavaliere che è il sottoscritto. L'ho addestrato in modo che non esegua alcun movimento senza che glielo si ordini.
*Nonostante fosse abbastanza distante dal giovane udiva ancora la sua voce stridula che andava ad accrescere il fastidio che emetteva ad ogni suo pesante sospiro. Uno scuro cipiglio faceva capolino da sotto al cilindro, socchiuse gli occhi e proseguì determinato sul sentiero acciottolato.*
Anche se fosse non mi interessano le opinioni di una persona qualunque neanche interpellata. La tua sfrontatezza non ti riserverà nulla di positivo in futuro. *Voltò le spalle dando poca importanza alle parole dell'uomo e fece per incamminarsi, impugnando con fermezza il bastone, lungo la strada costellata di ciottoli.*