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Sentivo solamente l'acqua colarmi addosso, sulla testa, sulle spalle, penetrare i tessuti degli abiti che indossavo sino a raggiungere le ossa. E poi fu solo un attimo, il tempo di ordinare ai miei cinque sensi di ritornare immediatamente al lavoro; alzai istintivamente gli occhi al cielo, convinto di ritrovarmi una nuvola di quelle dei fumetti che mi aveva seguito per, evidentemente incazzata con me, vomitarmi addosso il suo malcontento. Invece ciò che i miei occhi incontrarono furono due labbra rosse, piene, spalancate a mostrare denti bianchissimi, lingua e due occhi puntati su di me. In un lampo di scarsa lucidità capii che il mio attentatore non era solo, con lui c'era un altro ragazzino dalla pelle diafana e i capelli biondi, chiari quasi quanto la luna. Avrei dovuto permettere alla collera di prendere il sopravvento, urlare, sbraitare loro contro qualche minaccia sul fatto che ero un professore, che avrei potuto rendere il loro anno scolastico un vero Inferno. Ciò che feci, invece, fu fissare per pochi secondi la gomma verde del palloncino che mi era stato gettato addosso, in un gavettone generoso, per poi riportare la mia attenzione sulla fonte inesauribile di quella risata sfacciata. Ingenua. Puerile. Colorata. Splendida. E fu così che io, insegnante di storia dell'arte, dall'alto dei miei venticinque anni, capii di essermi preso una cotta imbarazzante per un sedicenne che presto avrei scoperto essere uno dei miei alunni.
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Yaya