Quando ero piccolina mi chiedevo spesso cosa si provasse ad avere una mamma al proprio fianco. Una di quelle che al mattino ti prepara la colazione, ti aiuta a pettinarti i capelli e alla sera ti rimbocca le coperte, lasciandoti un dolcissimo bacio sulla fronte.
Mi sarebbe piaciuto crescere con una madre al mio fianco, averla come punto di riferimento, come guida, come esempio da seguire per non commettere troppi sbagli.
Ma questa fortuna non ce l'ho mai avuta.
Mia madre ha preferito abbandonarmi senza dirmi nulla, senza lasciarmi una carezza prima di dirmi definitivamente addio. Mi ha lasciato all'improvviso, come se fossi un giocattolo rotto di cui non aveva più bisogno. Come un pacco postale lanciato davanti all'entrata di qualche edificio con la speranza che qualcuno lo raccatti, prima o poi.
Da bambina non mi facevo troppe domande, ma crescendo non ho fatto altro che pormi un solo quesito: con quale coraggio si può lasciare un figlio?
Ma non sono mai riuscita a darmi una risposta, forse perché non ce n'è una. Non è un gesto che si può capire.
Per anni mi sono detta che non avrei mai avuto un figlio per paura di fargli subire ciò che era stato fatto a me. Avevo il timore di potermi comportare come mia madre, anche se la sua assenza mi ha letteralmente devastata. E mi sono portata questa consapevolezza dietro fino a quando non mi sono innamorata veramente per la prima volta in vita mia.
È come se trovando Lorenzo sul mio cammino, tutto abbia cominciato a tornare al proprio posto. Vivevo alla giornata prima di conoscere lui, circondata da vizi, dalla materialità, che però non mi hanno mai soddisfatta tanto quanto l'essere amata.
Amare e essere amata mi ha aperto non solo il cuore, non mi ha solamente ammorbidita smussando i lati spigolosi ed insopportabili del mio carattere. L'amore è stato in grado di responsabilizzarmi, mi ha aiutata ad abbattere i miei preconcetti e ha estinto le mie paure.
Una più di tutte le altre.
Avere un figlio non era nei miei piani, ne adesso e ne in un futuro prossimo. Ma... poi ho capito che io, come mia madre, non sarei mai diventata. L'ho capito quando su quel test di gravidanza è apparsa la scritta “ incinta da tre settimane ”. Non mi sono mai sentita più felice di così in vita mia.
Anzi, forse un altro momento più felice c'è.
Dopo il lungo travaglio, i dolori atroci, la paura e l'ansia che qualcosa andasse storto, alla fine il tuo pianto ha riempito le mura della sala parto questa mattina alle sei. Ma quando ti hanno finalmente adagiato sul mio petto e ti ho potuto stringere a me, ti sei calmato in un istante, e tutta l'agitazione provata in precedenza ha smesso di esistere. Mi è bastato vedere i tuoi occhietti scuri e quel piccolo nasino per capire che non ti avrei mai abbandonato.
Benvenuto al mondo, Naadir.
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