Il punto è che quando hai quindici, sedici, diciassette anni puoi fare tutto, puoi permetterti di sbagliare. Ed è bellissimo e nemmeno c'è ne rendiamo conto. È l'età di saltare scuola e falsificare la giustifica. I maglioni troppo larghi, i thè sotto le coperte, la domenica pomeriggio con gli amici. Le cicatrici sulle braccia. Le scritte sulle porte dei bagni di scuola. È l'età degli errori, l'età che non torna, l'età che qualsiasi cosa fai puoi sempre rimediare. È l'età dei pianti per qualcosa che non è niente e sembra tutto, l'età dei primi amori, i primi baci, il dolore di quando finisce e i "per sempre" che non lo saranno mai. Ci mettiamo in gabbia per paura della vita senza renderci conto che la vita vera è proprio ora, quella che a trent'anni vorremmo poter rivivere. Siamo una generazione dannata, bruciata, andata, spirata. Siamo la generazione di Facebook, di Twitter, Instagram e Tumblr. Degli screen delle conversazioni, dei messaggi troppo lunghi, dei compiti infiniti, dei dilatatori, dei tatuaggi. Dei "voglio vivere a Londra" "voglio vivere a New York". Delle poesie sui banchi di scuola, i film visti milioni di volte, le amicizie a distanza, le stazioni, i treni, le insicurezze. È bellissimo, è bellissimo, e non ce ne rendiamo conto. Io non me me rendo conto. È ora di cominciare a gridare, ridere, respirare. Vivere fino a consumarsi la pelle e le ossa. Vivere fino a consumarsi l'anima.