Ansia. Ultimamente la nomino spesso. Se non lo faccio, temo possa sentirsi offesa; in fin dei conti non mi ha mai lasciata andare per davvero, e mi tiene compagnia anche quando proprio non vorrei. Come quando, praticamente in ogni occasione, si stringe tra le dita il telefono e si affronta il mondo come se quello potesse realmente darci conforto. Fateci caso, volenti o nolenti rappresenta non solo un passatempo ma anche una sorta di antistress, un amuleto che se poi lo reggi, puf, ecco che si hanno le forze per affrontare anche quella conversazione che proprio non ci piace, con quella persona che aagh, come fare a guardala negli occhi? Ho capito che l'ansia, nel bene o nel male, in ogni caso e circostanza io mi trovi sarà sempre un carburante che mi spinge ad agire. Per anni - tanti anni - mi son sempre data la colpa per questo mio essere. Ero convinta fosse un male, abbandonarsi alle sue pene, perché perlopiù le percepivo come tali e, bada, non venga frainteso quest'ultimo periodo come elogio alle sue grigie maledizioni, in quanto [davvero] avere l'ansia fa schifo; ho notato, tuttavia - ho imparato ad accettarlo, termine ancor più corretto - che quei flussi interiori, spesso, mi accompagnano ad eccellere, quantomeno a dare il meglio delle mie possibilità. Banalmente, se non si ha l'ansia per una qualsivoglia prova probabilmente l'investimento a riguardo ne andrebbe a perdere e non risulterebbe efficace; contrariamente, l'ansia fa delle sue fiamme un carburante naturale per le nostre prestazioni. Basta solo - SOLO - saperla adoperare, gestirla come un mantello rosso riesce a fare con un toro, difficile sì ma pur sempre fattibile.
È piuttosto soggettivo, credo io, il modo di somatizzare l'ansia: nel mio caso dipende dal mio status complessivo, per cui alle pure manifestazioni fisiche e fisiologiche, potrebbero sommarsi [ulteriori] gravanti psichiche. Che so, quando va bene mi accontento di un mal di stomaco, una sorta di guizzo che dallo stomaco risale lungo lo sterno per raggiungere, severo, dapprima il petto e poi la gola. La sensazione, lo si immagina, corrisponde ad un senso di soffocamento, una morsa che ti aggancia e devi sperare non salga ancora oltre; in tal caso subentra poi il pianto, e col pianto singhiozzi a non finire, un respiro irregolare che scuote la persona fino alla punta delle spalle e diviene qualcosa che, comunemente, io definisco crisi. Una vera e propria crisi d'ansia [che non si differenzia poi troppo da un attacco di panico, per rendere l'idea]. Quelle, almeno in anni recenti, sono state più rare. Di recente ne ho avuto a che fare e mi sono ritrovata a perdere la bussola nel peggiore dei modi: è stato orribile, ma d'altronde le condizioni vi erano tutte. Per il resto, la voce si inceppa, i polpastrelli scottano, un soffio sembra farsi sentire lungo il collo. Si vive sospesi, con l'ansia, e spesso si ha soltanto la forza - o forse il bisogno - di lasciarcisi abbracciare. Chi lo sa, che pure lei non patisca d'angoscia.
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