Te lo riassumo in un'unica parola: sensibile.
Sono sensibile, e in quanto tale l'arma più potente e letale che mi si potesse affidare come persona, caratterialmente parlando. In fatto di pregi, l'esser sensibile mi porta a cogliere il dettaglio più piccolo, a vedere e sentire cose che gli altri non vedono, il che comprende - ad esempio - stati d'animo, posture e portamenti, dettagli del mondo, ricchezze, sfumature lontane dalle consuetudini. Mi permette di mostrare empatia, di guadagnare fiducia per via del mio saper cogliere ed accogliere, nel provare quanto sta provando l'altro anche senza una necessaria introduzione; con me, spesso le parole risultano superflue, mi basta uno sguardo. D'altro canto, quel mio > sentire le cose oltre i sensi < mi porta a farmi del male, a soffrire per le cose più sciocche, in apparenza banali, a restarci male laddove dovrei solo passar avanti. Il difetto dell'essere sensibili è il tenerci troppo e il sapere, a priori, di esser condannati a farsi male qualora non si sappia porre un filtro, una protezione tra quel qualcosa ed il suo malsano potenziale. Sento il doppio, vivo il doppio, amo il doppio, soffro il doppio, sempre. Nel bene e/o nel male. Fa parte di me e non lo posso cambiare, non lo vorrei; non sarei più io per come mi conosco, per la versione che tanto più spesso esibisco al mondo.
Mi viene in mente una frase di Cremonini:
“Una come te, per una rosa può morire,
solo perché ancora non sa togliere le spine” [...]
Speciale; mi piace sempre tanto quel pezzo🥀
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