Oh Marta, tante quante sono le onde direi, e allo stesso modo si confondono tra loro, passandosi sopra l'un l'altra. Alcune invece sono come le rocce che ne vengono accarezzate: immobili, seppur sprofondando un poco.
Ottobre di ormai non so quanti anni fa, occhiate su occhiate tra un autobus e l'altro, ci credi che non ci siamo mai parlati? Ricordo una volta in cui correva verso ogni linea, pensando fosse la mia, e mi viene ancora da ridere. L'ho rivisto a Pasqua, suonava il violino, e aveva le dita coperte d'inchiostro.
Aprile di una primavera che sapeva di libertà, una fredda notte bianca in cui sorsi di birra si alternavano a risate, finché una non si è trasformata in un bacio. Mi ha scaldato le mani fino all'estate, improvvisando sui miei accordi, dimenticandosi di dirmi che già sapeva di dover partire ancora prima di conoscermi. Anni più tardi, mi sono sorpresa a sperare di incrociarlo nella stazione della città che ormai deve contenere la sua vita, mentre io ero solo di passaggio, ma il treno è ripartito in un perfetto silenzio nordeuropeo.
Agosto, fugace come la stella cadente che gireresti di aver visto con la coda dell'occhio. Probabilmente lei lo sapeva più di me, così come ogni altra cosa, di stelle e di spartiti e di letture. Di suo mi è rimasta la gerusalemme liberata, con una dedica che tengo in un cassetto in fondo al cuore.
Aprile, di nuovo, ma con più consapevolezza, forse. Stavolta gli accordi erano su due tonalità diverse, ma insomma, ormai avrai capito che m'innamoro sempre di persone musicali. Questa è la volta che riapre la crepa su cui pensavo di aver gettato abbastanza cemento, ma i denti di leone spuntano dappertutto. Ammetto di sentirmi ancora in colpa, citandolo ad esempio del perché non riuscirò mai a superare niente in tutta la mia vita.
L'ultima è cominciata a gennaio di due anni fa, anche se soltanto la primavera ci ha dato coraggio, e prosegue prosperando ancora, fiorendo in un amore che sa di casa.
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