Come diventare bravi genitori
Regola n2: I figli si partoriscono ma non sono vostri, sono di dio!
Sarebbe meglio non procreare affatto, ma se proprio non si riesce a resistere a questo irrefrenabile impulso egoistico, che si abbia almeno la decenza di accettare che la vita è di chi la vive, né dei genitori, né tantomeno dell'altissimo.
Troppi per stare qui, probabilmente. Troppo pochi per volermi bene, ma troppi per non saper ancora prendere decisioni. Troppi per avere paura di muovermi e pochi per restare immobile. Troppo pochi per non credere nei sogni, ma decisamente troppi per calibrarmi sugli altri. Troppi per crogiolarmi nell'insicurezza, ma troppo pochi per vivere di paura.
Vedo un involucro sformato dalla pesantezza di un'esistenza rifiutata. Reso fragile dal carico eccessivo di aspettative deluse. Accartocciato e strozzato da grovigli di pensieri rotti, come cavi che un tempo avevano ognuno una funzione, ma ora, sfilacciati e annodati, sanno solo occupare cassetti polverosi. Vedo l'assenza di colore, vetri appannati, forme sbiadite, crepe dimenticate. Vedo l'inutilità di uno sguardo vuoto e ormai consumato, per aver guardato per troppo tempo dove non c'era nulla da vedere.
L'ho fatto una volta sola ed è stata un'esperienza magnifica. Sognavo di farlo da anni, ma ho sempre trovato scuse per un motivo o per un altro. Poi un grigio giorno di Aprile ho preso la macchina e sono andata al cinema più vicino - un piccolo cinema di paese, che ora purtroppo ha chiuso (che tristezza). Non nego che avessi una certa ansia prima di entrare (chissà per quale motivo poi?), ma non appena ho trovato il mio posto e si sono spente le luci, mi sono sentita fortunata a poter dedicare quel tempo interamente a me. Mi sono sentita emozionata e arricchita una volta uscita e mi sono ripromessa di rifarlo ancora in futuro.
Che alternative abbiamo? Possiamo distruggerci, maledirci, urlare al cielo l'ingiustizia con cui crediamo di essere marchiati a vita. Possiamo cercare di fare del nostro meglio, trascinandoci in un nuovo domani, nella precaria speranza che non ci riservi brutte sorprese. Possiamo rimboccarci le maniche e sudare via tutto il dolore, cercando di raggiungere finalmente questa agognata pace a suon di calci. Possiamo forzare il sorriso più grande possibile, augurandoci che le rughe della pelle mantengano quella posizione di posticcia felicità, ingannando l'occhio altrui, ma pure il nostro si spera, finché non farà spazio ad una smorfia autentica. Possiamo anche nasconderci, fuggire dagli sguardi, dalle orecchie, rintanarci nella notte per poter finalmente ottenere il permesso di dare libero sfogo alle lacrime, che per tutto il giorno hanno fatto capolino tra le ciglia. Oppure possiamo semplicemente aspettare. Aspettare che l'onda più feroce passi e rassegnarci a ciò che lascerà. Forse detriti, forse freschezza, forse nuovi inizi.
Dopo un momento di agitazione o rabbia per qualcosa che ti è successo… cosa sei solito fare per ritrovare “la pace dei sensi”?
Dipende molto dal contesto, da dove mi trovo, da cosa ha scatenato questa emozione negativa. In linea generale non sono troppo brava nel gestirle, ma nel tempo ho trovato alcuni "escamotage" che sembrano, almeno in parte, arginare la situazione. Solitamente mi isolo, trovo un posto riparato e lontano dalle persone in cui posso sfogarmi, piangere, urlare. Spesso mi fumo una sigaretta (non ha molto senso, ma ho visto che è un pattern che metto in atto in questi casi). Alcune volte necessito di stare in mezzo alla natura, altre volte mi chiudo in camera mia, al buio, sul letto e dopo essermi sfogata, accendo Netflix, abbraccio il mio gatto e cerco di dormire il più possibile. In passato è successo che mettessi in atto comportamenti più nocivi, ma con il tempo ho cercato di liberarmene. Non sono strategie sane, né probabilmente giuste, ma per il momento è ciò che di meglio riesco a fare quando sto male.