Ｍｅｔａｍｏｒｐｈｏｍａｇｕｓ

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Ricordavo anche come ci fossimo conosciuti, casualità delle casualità, e di come non si fosse più fatto rivedere per la scuola. Di sicuro, io non ero mai andata a cercarlo nella Common Room della sua casata, ne valeva del mio povero orgoglio, e nemmeno lui lo aveva fatto. La promessa di restare uniti non era stata mantenuta.
Lasciai scivolare la mano lungo il fianco della giacca, dove le mie magre dita sfiorarono il legno d’acero della mia liscia bacchetta, ma decisi che non era quello il modo. Sebbene anche uno schiaffo fosse allettante, non era nemmeno quello. Sapevo cosa fare, ed ero in grado di eseguirlo alla perfezione. Alzai il mento, lasciando che i miei capelli ora di un colore grigio si scuotessero, morbidi, sulla mia schiena, e con il mio passo spedito decisi che Hebert Fleet, in quel momento, ᴇʀᴀ ᴛʀᴀsᴘᴀʀᴇɴᴛᴇ ᴄᴏᴍᴇ ʟ’ᴀʀɪᴀ..

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La monotonia dei giorni passava con la pesantezza di una parata di elefanti; ogni giorno sembrava uguale, se non per i corsi e i pasti, insieme ovviamente al mio colore di capelli. Solita stanza, solita gente, solita noia. Storia della magia, come sempre, non procedeva affatto bene, troppe date nomi e avvenimenti di cui non mi interessava un accidente non mi aiutavano poi un granché nello studio, così avevo dovuto contattare alcuni studenti Ravenclaw per darmi una mano nello studio. Le lezioni di recupero con loro consistevano in una grattata di capo continua, insieme a sbadigli non troppo coperti, a sbattimenti della punta della piuma sulla pergamena e di omini stilizzati in inchiostro mentre i tutor leggevano come fosse la Sacra Bibbia. Non riuscivo seriamente a concentrarmi nelle materie per le quali non provavo interesse, colpa della mia assurda testardaggine, e poco o niente cambiava le cose.
Quel giorno, sebbene avessi appunto fissato un incontro con uno dei tutor, saltai bellamente la lezione per andarmene in giro a bighellonare per la scuola con Isabelle, commentando le nostre giornate e alcune persone che trovavamo lungo i corridoi; era esattamente il tipo di cosa che mi aiutava a rilassarmi e distrarmi, e di sicuro non potevo lamentarmi della mancanza di amiche. Per fortuna ne avevo diverse e fidate, con le quali sapevo di avere cose in comune se non addirittura gli stessi gusti, per esempio. Con Isabelle era divertente anche parlare di piccolezze, come capelli rovinati e scarpe sciupate, piuttosto che acne e trucco malfatto. Mi divertiva vedere alcune persone abbassare lo sguardo al mio passare, perché il punto non era che io mi sentissi superiore a loro, bensì che loro si reputassero inferiori a me.

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«Certo che quella Gryffindor non si lava mai, santo cielo, ti rendi conto? Sembra che le abbiano versato una bottiglia di olio di oliva sulla testa. Ci credo che è sempre sola, poveretta.»

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In genere non mi preoccupavo troppo di bisbigliare, motivo per cui la ragazza in questione mi sentì e immediatamente prese tra i polpastrelli delle dita una ciocca di capelli sporchi. Peccato, sprecare un biondo cenere è un vero oltraggio.
Svoltando il corridoio, i miei occhi scivolarono verso una figura slanciata e massiccia che, purtroppo, ben conoscevo. Bisbigliai, senza togliere gli occhi dalla figura, a Isabelle di aspettarmi nella Common Room; non era esattamente un buon momento.
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Ricordavo ogni singolo giorno passato, in estate, con lui, ogni caldo raggio di sole che ci aveva svegliati e ogni abbraccio che ci aveva fatti addormentare insieme. Ricordavo di essermi ripromessa di non innamorarmi e invece di come l’avevo fatto, come una perfetta sciocca, e per di più di un Tasso.

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