@ellymidg

Metamorphomagus

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Scream ━ Role to: @AlexanderTGoldstein (2)

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Mi avevano trovata. Stavo per morire. Lui poteva vedermi. Piangevo e non riuscivo a smettere di farlo.
Un secondo dopo, al fianco dell'uomo, apparvero altri cinque di loro. Tutti mi fissavano, dritta negli occhi, potevo sentire i loro sguardi che mi ferivano il corpo, potevo sentire la luce verde abbagliarmi gli occhi e porre fine alla mia esistenza.
Eloise Midgen, tu stai per morire. Sei scappata a lungo, ma ormai è finita. I miei capelli presero le tinte del nero.
L’urlo più straziante che avevo mai lasciato uscì dalla mia gola, graffiandomi le corde vocali.
“ANTHONY”

Scream ━ Role to: @AlexanderTGoldstein

Mentre guardavo gli occhi stanchi di Anthony, non pensai ad altro che non volevo più scappare. Nelle notti fortunate, sognavo di avere una vita tranquilla ad Hogwarts, e forse in un altro universo era così. Purtroppo, invece, eravamo finiti in quello dove le cose si mettevano male, male davvero. Lo guardavo come a volergli dire ‘ti prego, torniamo a scuola, torniamo a casa’, ma tutto ciò che vedevo di risposta era uno sguardo spento. I suoi occhi erano freddi, sempre da quando lo avevo conosciuto, e forse lo erano anche i miei. La verità era che la paura sovrastava il crearsi di ogni altro sentimento, e i nostri sguardi ne erano testimoni. Sospirai profondamente, girandomi, avviandomi verso lo spiraglio di luce che era l’uscita della mia -nostra- tenda. Appena misi piede fuori, un’ondata di aria fresca invase i miei polmoni, e mi concessi qualche secondo per respirare e guardare la flora attorno a noi. Eravamo in un bosco in Romania, pieno di abeti folti; faceva tanto freddo che credevo che sarebbe potuto nevicare da un secondo all’altro. Mi sgranchii le gambe camminando attorno alla tenda, prima di sentire il mio corpo irrigidirsi d’improvviso. Due occhi gialli mi stavano fissando.
‘Non è possibile’, mi dissi, ‘ci sono gli incantesimi di protezione’. Evan Rosier mi stava guardando dritta negli occhi. Mi avvicinai, lentamente, silenziosamente, all’uomo in piedi una decina di metri davanti a me. Le lacrime avevano già cosparso il mio viso. ‘Non può vedermi, mi avrebbe già uccisa’, e invece era li, immobile, che mi guardava. Uno dei migliori amici di mio padre, migliori in effetti è un eufemismo, era li. Sapevo che era uno di quelli che mi inseguiva, ma credevo di aver sentito che fosse finito ad Azkaban. Che ne fosse scappato? Come poteva avermi trovata lì?
Mi avvicinai tanto da ritrovarmi di fronte a lui, a un metro di distanza. Vedevo le nuvolette di fumo uscire dal suo naso. Continuai a guardarlo dritto negli occhi. Non poteva essere, eppure ero convinta che riuscisse a vedermi. Eravamo sempre molto cauti con gli incantesimi di protezione, potevano non essere stati abbastanza? Egli era, in effetti, uno dei più potenti e spietati Deatheaters conosciuti. Non sentivo il freddo, ma il sangue mi si era gelato nelle vene. Alzai con lentezza che mi parve infinita il braccio, avvicinando la mano a quello che sarebbe dovuto essere il limite agli incantesimi che ci chiudevano a bolla; mi sembrava di soffocare nelle mie lacrime. La mia mano, sempre dentro la barriera, arrivò dritto davanti al suo volto, e li l’impossibile successe. Un piccolo sorriso, un ghigno, prese forma dalle labbra di Rosier.
“Anthony”, biascicai indietreggiando, inciampando nella sterpaglia. Ero terrorizzata. Il giovane Corvonero non sapeva del perché fossi in fuga, non doveva sapere, eppure non riuscii a pensarci al momento.
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I wanna go home ━ Role to: @alexanderTGoldstein (2)

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Dormivamo insieme, in un sacco a pelo sgualcito dentro la mia tenda, le bacchette strette in mano e l’udito vigile. Non sapevo da cosa scappasse lui, e lui non sapeva da cosa scappassi io. Andava bene così.
Mi sedetti a terra, spalancando le braccia e aspettando che il biondo si sedesse a sua volta accanto a me così che potei stringerlo a me ed accarezzargli i capelli. Restammo li in silenzio, a guardare il disastro che ogni giorno per quattro mesi avevamo creato, nel tentativo di allenarci e tenerci pronti. Una lacrima scese veloce lungo il mio viso quando sentii il desiderio frequente di tornare a casa; ma quando pensai che la cosa più vicina a casa che in quel momento avevo fosse tra le mie braccia, i miei capelli si tinsero di rosa.
❝Dobbiamo sistemare questo casino.❞
Tutto andava bene.

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I wanna go home ━ Role to: @alexanderTGoldstein

Lo ricordo come fosse ieri, il giorno in cui incontrai di nuovo Anthony Goldstein. Era una notte fredda, in un bosco a caso; era il mio settimo mese in fuga e da sola. La paranoia data dalla mancanza di sonno non mi lasciava dormire, sentivo rumori che ero quasi del tutto convinta fossero solo frutto della mia immaginazione. Non potevo immaginare che nella mia latitanza avrei trovato un volto conosciuto, uno per lo meno che non aveva l’intenzione di uccidermi.
Eravamo soli entrambi, credo sia per questo che abbiamo deciso di accettare la convivenza. Sembra banale, ma il silenzio fa più male alle orecchie rispetto a una folla di gente urlante, e lo dico io che non sono certo un mostro della socializzazione. Pian piano la convivenza è diventata allenamento, poi proteggersi le spalle l’uno con l’altro; era bello sapere di avere qualcuno che avrebbe combattuto per te, e qualcuno per cui combattere. Potevamo passare ore nel silenzio, ma insieme. L’aspetto fisico del nostro rapporto, invece, credo fosse anch’esso dovuto alla solitudine. Era successo una volta, poi la seconda, e poi altre ed altre. Era bello non sentirsi in dovere di mettere un’etichetta, di non dover dare un bacio come fosse un obbligo ma solo se sentito. Era bello lui. Non credo avrei mai minimamente immaginato una cosa del genere quando eravamo entrambi sotto il tetto di Hogwarts, ma ora sembrava quasi la cosa più giusta. Alle volte litigavamo tanto pesantemente da lanciarci cose, altre passavamo la giornata a parlare tra un bacio e l'altro. Era strano, qualcosa che non sapevo definire. Sapevo solo di essere spaventata dall'idea di svegliarmi e non trovarlo più accanto a me. Non volevo tornare alla solitudine, al silenzio che assorda, alle notti insonni e alle giornate passate a pensare di voler mollare, di cedere, di lasciare che prendessero la mia vita così da far finire quel lungo, interminabile incubo.
Quando l’ho trovato, Anth era un ragazzo a pezzi. Quando lui ha trovato me, ero una piccola ragazza spaventata e paranoica. Incredibile come dormire vicino ad un altro essere umano potesse essere rassicurante, non era nulla che avessi mai provato prima. Non ero innamorata, o almeno non lo sapevo, ma sentivo che se fosse andato via la mia sanità mentale lo avrebbe fatto insieme a lui. Era l’unica cosa che mi distraeva dall’imminente pericolo di venire uccisa a 17 anni, e quasi mi viene da ridere perché mi sentivo molto più grande e vecchia, e stanca. Quando mi ha trovata, pesavo una decina, forse di più, di chili in meno rispetto a quando avevo lasciato la scuola, avevo le ginocchia distrutte dalle ferite, le mani tagliate, ma ciò che più mi faceva soffrire era il mio cervello. Mi sentivo pazza, alle volte. Poi, Anthony mi aveva trovata, e con ogni abbraccio sentivo di recuperare un briciolo di umanità in più. Spesso piangevo, e lui non mi chiedeva nulla. Lasciava che lo facessi, poi si avvicinava a me e mi stringeva forte.
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Liked by: Nott.

Count to three ━ Role to: @AlexanderTGoldstein (2)

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━.Tre.━
Uscii con rapidità da dietro il mobile, ma di sorpresa mi ritrovai la figura davanti come un’ombra. I biondi capelli e il sorriso maligno del ragazzo mi fecero inarcare le sopracciglia, prima che un piccolo sorriso furbo prendesse il controllo delle mie labbra, che meno di un secondo dopo erano premute alle sue. Il bacio durò poco, giusto il tempo di respirare profondamente e puntare la bacchetta sotto il suo mento.
❝Mi dispiace tesoro, oggi l’allenamento l’ho vinto io. Mi sa che devi essere più attento la prossima volta, Anthony, o la prossima volta potresti essere già morto.❞
Liked by: Anthony Goldstein.

Count to three ━ Role to: @AlexanderTGoldstein

━Conta fino a tre…━
Sebbene il mio respiro fosse affannato, cercavo di mantenerlo il più silenzioso possibile. Nascosta dietro un alto mobile, gli occhi vigili e la bacchetta alla mano, mi preparare al conto.
━Uno…━
All’interno dell’ampia tenda dove vivevo, i mobili erano distrutti a terra come fosse passato un uragano; i miei capelli, al momento viola per la tensione, erano tutti scompigliati, e un graffio mi pizzicava il sopracciglio. Il sangue colava lungo il mio viso, ci era andato davvero vicino. Quasi mi mancava la tranquillità di Hogwarts, la compagnia delle amiche, i pasti completi e regolari, l’accoglienza. Da quando avevo dovuto abbandonare gli studi per fuggire, non un giorno era passato senza che avessi pensato di tornarci, ma la posta in gioco era troppo alta ed ormai i tempi della scuola mi sembravano lontani, sbiaditi.
Era risaputo, i Deatheaters non accettavano un no come risposta. Da quando mio padre mi aveva promessa in palio, erano riusciti ad arrivare a me persino all’interno della scuola. La guerra era vicina, e loro necessitavano di giovani reclute, tanto determinate e piene di odio quanto deboli e incapaci di rifiutarsi di partecipare. Purtroppo per loro, non ero nessuna delle due cose, ed essendo a conoscenza di luoghi di ritrovo e segreti troppo importanti per essere svelati non avevo scelta se non di nascondermi. Già più di una volta mi avevano trovata, e mi ritenevo abbastanza fortunata da riuscire a scampargli nuovamente; ciò significava discrezione, solitudine, spostamenti continui. Ogni notte prima di dormire quel poco, mi ritrovavo a pensare che la guerra finale fosse sempre più vicina, ma la mia vecchia radio -ora rotta sul pavimento- era l’unico metodo di informazione che avevo, e a parte omicidi vari non vi erano segni di un conflitto decisivo. Se fossi andata a combattere per il bene, mi avrebbero uccisa per prima. Se l’Innominabile avesse vinto, mi avrebbero uccisa per prima. Dovevo restare rintanata per il mio bene, ma non volevo; inoltre, per la mia natura di Metamorphomagus, la Trasfigurazione, per quanto ben fatta, non nascondeva il colore dei miei capelli.
━ Due…━
Ormai mi ero -quasi- abituata alla vita da vagabonda. Ero dimagrita parecchio, ma mi sforzavo di procurarmi cibo e di tenermi allenata e in forze il più possibile. Dormire, sebbene all’inizio fosse dura per la preoccupazione, era diventato ormai necessario per lo sfinimento; ma ciò che preferivo fare era allenarmi, e studiare da quei libri che mi ero decisa a portarmi dietro. Non avevo ancora abbandonato l’idea di tornare a studiare, se Hogwarts non fosse stata distrutta da Lui, ovviamente.
Era quasi il momento, i millisecondi passavano e il mio respiro non accennava a farsi più regolare. Strinsi forte gli occhi e la bacchetta, così potentemente da sentire le mie unghie affondare nella carne. Mi sforzai di prendere una boccata d’aria tanto profonda da farmi male ai polmoni, e con un sussurro pronunciai il numero.
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Liked by: Anthony Goldstein.

@swayfalls

[GRAZIE PER AVERMELO FATTO SCOPRIRE mi sono innamorata ciao. E poi Ramsey uhuhuhu adoro. Tu, preparati ad essere stalkerato.
Fangirlaggio a parte, mi piace molto lo stile di scrittura quanto l'originalità. Lo vedo come un pg tutto da scoprire.

Role to: @Naughtyslytherin

Sorrisi compiaciuta nel vedere che il ragazzo mi stesse raggiungendo al tavolo; scostai un ciuffo di capelli dietro l'orecchio e lo accolsi con un sorriso spavaldo quanto malizioso.
«Non sei affatto una frana, tu non mi conosci. O meglio, dovresti, considerando il fatto che apparteniamo alla stessa casata e che non è poi così ricordarsi di una come me.»
Indicai i miei capelli, rosa, alludendo ad essi. In effetti, ero conosciuta in praticamente tutta la scuola per il mio stato di Metamorfomagus, essendo in effetti l'unica; i miei capelli affascinavano gli studenti, soprattutto i nati babbani che mi vedevano per le prime volte. Non è difatti una cosa poi così diffusa nel mondo magico. Spesso mi veniva chiesto di cambiare il mio aspetto, essendo risaputo che quelli della mia “specie” possono tramutarsi in animali o elementi di altro genere. Nessuno fino a quel momento, però, me lo aveva visto fare. Imbarazzante.
«Però no, non abbiamo mai avuto l'occasione di di persona. Sono Eloise Midgen, e permettimi di offrirti una Burrobirra.»
Osservavo il ragazzo nei suoi movimenti, cercando di inquadrarlo bene. Per il fatto che le mie emozioni erano facilmente riconoscibili al variare della tonalità della mia chioma, fin da piccola mi ero allenata a cogliere tutti i segni, anche i più piccoli, in modo da rendere gli altri ai miei occhi tanto prevedibili quanto lo ero io. Tutti, infatti, eseguivano determinati gesti o precise espressioni facciali quando provavano sentimenti quali rabbia, nervosismo, imbarazzo, amore. Notai dalla sua postura eretta l'origine da una famiglia aristocratica, ma anche un carattere piuttosto estroverso e una grande autostima. Lessi nei suoi occhi quanto fosse sicuro di se stesso e curioso della situazione. Dalle sue mani notai che non era né nervoso né tantomeno imbarazzato, e che non aveva mai lavorato duro nella sua vita -come d'altronde la maggior parte di noi Serpeverde. Era un individuo interessante, non c'è che dire, ma ciò che mi attraeva di più erano quegli occhi tanto unici e particolari. Azzurri come il ghiaccio, ma uno di essi macchiato di castano chiaro. Occhi meravigliosamente espressivi, per di più.
«Allora, cosa in una zona tanto adorabile come questa? Hai forse qualcosa da nascondere?»
Domandai, ridacchiando tra me e me: in fondo, la bettola nella quale eravamo seduti non era di certo locata in una delle zone migliori di Londra, anzi. Per di più, veniva frequentata da anziani maghi ubriachi o svitate streghe. Dunque, che ci faceva il bel Baddock li?

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Role to: @depthinsomnia

Osservai il ragazzo in silenzio, quasi... dispiaciuta. Per un elemento della mia casata dover subire provvedimenti disciplinari non era poi così raro, ma per lui non doveva essere stata così facile; le sentivo le voci, ogni tanto, che mormoravano di lui. Cattive, crude, uscivano termini esagerati quale 'idiota', ed invece più lo sentivo parlare con la sua voce terribilmente bassa e roca più pensavo che fosse tutto il contrario. Il primo pensiero che mi balenò in mente era che il Cappello Parlante ti sceglie per uno o più motivi, e soprattutto non sbaglia. Mai. Se avesse voluto farlo idiota ed irritabile -come avevo sentito fosse- lo avrebbe messo nella mia casata, esattamente come ci ero finita io, ma non lo aveva fatto: lo aveva anzi inserito nella casata della conoscenza, ed ero sicura che fosse per un motivo. Dovevo solo scoprirlo. Tutto ciò era totalmente sbagliato, nessuno dei due meritava di restare intrappolato in una sala dove tutto ciò che ricevevamo era essere umiliati per quello che più che un difetto era un nostro segno distintivo. Mi ero informata parecchio sull'argomento: non tutti imparano allo stesso modo, e c'è chi fa più difficoltà di altri. Questo però preclude solo determinati ambiti della nostra mente, difatti argomenti di approccio più pratico vengono assimilati più rapidamente e spesso meglio della media. Non a caso ero sempre stata un portento in Pozioni, e lo sapevo. Ma in un sistema che non mi valorizzava, in una scuola dove i voti erano più importanti della personalità e dei valori apparentemente, non sapevo più da che parte girarmi. Non era giusto essere rinchiusa in quella dannata stanza a sentirmi dire quanto fossi piena di lacune e carenze, non era giusto non potermi riposare come tutte le altre persone per qualcosa con il quale ero nata, non era giusto restare li a farmi dire come risolvere un problema che non può essere risolto. Giocherellai per qualche secondo con le mie dita in modo nervoso, i capelli che pian piano si tingevano di un viola tendente al nero per quanto fosse scuro. Non lo sopportavo più, sarei voluta sparire eppure non riuscivo a far a meno di pensare a quanto sbagliato fosse. Contornata di studenti, tranne il ragazzo affianco a me, che semplicemente non avevano voglia di fare nulla quando io ci avevo provato e riprovato fino allo sfinimento, fino al procurarmi terribili emicranie e lividi alle nocche a furia di prendere a pugni ciò che mi capitava sotto le mani. Era solo più forte di me. Mi alzai, le mani appoggiate al tavolo, la testa bassa, e cercai di rallentare il mio respiro. Sentivo i nervi pulsare, dovevo controllarmi: fare la cosa che sembra giusta ma è sbagliata o quella che sembra sbagliata ma che poi è la più giusta? Non ci pensai due volte.
(...)

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Role to: @depthinsomnia (2)

(...)
Io me ne vado.
Mormorai, rivolgendo il mio sguardo al ragazzo che sembrava completamente inespressivo. Un sorriso insensato mi apparve sul volto.
Io me ne vado. Non è giusto, non dovrei essere qui.
Emisi una piccola risata, come avrebbe fatto una pazza che forse ero, e lo guardai, ancora una volta, lo sguardo che urlava 'Se davvero la pensi come me, seguimi'.

Role to: @depthinsomnia

Non ero affatto impressionata dal fatto che si vedeva palesemente quanto il ragazzo fosse disinteressato nei miei confronti, ma non ero interessata. Se Flint si trovava in quel posto, stava solo a significare che era nella mia stessa situazione se non in una molto simile, e per di più la frase da lui appena pronunciata non poteva essere più vera. Era inutile stare in quella stupida stanza per qualcosa che non avrei potuto risolvere, piuttosto che cercare di incentivarmi in ciò che mi riusciva meglio. Non sarei forse mai diventata un'auror, o tantomeno avrei trovato impiego al Ministero della Magia, ma ero stanca di essere costantemente umiliata per le mie debolezze in fronte a tutti. Stanca di essere giudicata come un'adolescente ribelle quando nessuno aveva idea della mia storia: per una persona nella mia situazione, infatti, il rendimento scolastico era solo il minore dei problemi. Gli scatti d'ira per loro insensati, il costante essere nervosa e la mancanza di concentrazione derivavano soltanto dalla disgustosa realtà familiare nella quale ero cresciuta, tempestata di termini volgari, di cattiverie e di come fossi stata cresciuta per essere una “macchina da guerra”. Non era sorprendente, difatti, quanto fossi brava con gli incantesimi, data la quantità di azioni maligne che da piccola avevo visto di nascosto e che dai 14 anni ero stata costretta ad osservare con attenzione: vedere una persona, magari innocente, contorcersi in mezzo ad urla di dolore sotto la Maledizione Cruciatus non è qualcosa che ti togli dalla mente con facilità. I docenti della scuola notavano come li trattassi in modo inopportuno, non sapendo che ero stata abituata a seguire strette regole ed essere umiliata già a casa e che per me un ordine a quel punto della mia vita corrispondeva ad un rifiuto interiore. Si preoccupavano di farmi capire dove trovare un bezoar piuttosto che di sapere cosa fosse un avvincino, quando le cose che bisogna sapere nella vita sono ben altre e avevo dovuto affrontarle da sola, come una ragazzina emancipata ed abituata all'odio. Valori come il rispetto, la lealtà e la gentilezza erano aspetti sui quali lavoravo da sola per creare una Eloise migliore, ma che purtroppo non sempre riuscivo a dimostrare, in particolare sotto pressione. Non era per scortesia, se rispondevo male ai professori, ma proprio per il fatto di essere imbarazzata in pubblico: la mia vita in quanto metamorfomagus in mezzo a maghi che rivendicano la purità di sangue era stata una continua umiliazione, tanto da portarmi ad avere attacchi di panico o scatti di rabbia che non riuscivo a contenere. Non riuscivo a contenermi nemmeno nella più piccola provocazione, cose che per molti altri erano irrilevanti e che non li toccavano minimamente. Non potevo evitarlo, era più forte di me.
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Role to: @depthinsomnia (2)

(...)
Tutto ciò in cui ero brava, invece, era non giudicare le persone a primo impatto: non stavo ad ascoltare le voci altrui, preferivo verificare le versioni prima di parlare di qualcosa -anche se purtroppo, se mi rendevo conto che le voci erano vere non riuscivo a trattenere il pettegolezzo con le compagne di casata. Tornai a riservare la mia attenzione verso il ragazzo, non demordendo riguardo alla sua totale mancanza di interesse nei miei confronti. Sembrava non si sentisse affatto bene, la sua fronte era madida di sudore ed era pallido quanto un cadavere.
«Mi sembra di essere rinchiusa in una gabbia per ragazzi idioti.»
Mormorai, mantenendo un sorriso che in realtà ero sicura che non trasmettesse altro che tristezza.
«Tu non mi sembri affatto un idiota, dunque mi chiedo: perché siamo qui? Puniti per non essere convenzionali?»

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Role to: @Naughtyslytherin

Un bicchiere di burrobirra ed un mare di ricordi relativi ad un altro mediocre anno scolastico; ecco come festeggiavo la fine della scuola. Seduta, sola, al Paiolo Magico. Non che mi sorprendesse, il fatto di non avere alcuna compagnia: nell'anno passato il mio carattere era andato solo che peggiorando, considerato il fatto che mi ero resa conto sempre di più di quanto nessuno mi capisse sufficientemente da stabilirvi una relazione duratura. Non era affatto bello considerarsi “senza amici”, limitarsi all'avere conoscenti con cui passare il tempo all'interno delle mura del castello e nulla di più. Sorseggiai con lentezza la fredda bevanda, gettando occhiate alla feccia di maghi presenti nel vecchio e scuro bar; vecchi maghi senza denti, sporchi e poco curati ridevano sguaiatamente, ubriacandosi sempre più e sempre con meno contegno. Mi chiesi per un millesimo di secondo cosa ci facevo li, ma la risposta purtroppo la sapevo più che bene: da un anno ormai ero stata ripudiata dalla mia famiglia -o meglio, io stessa mi ero diseredata da quegli schifosi esseri- e dunque non avevo un posto dove stare. Dormivo la maggior parte delle notti in quella bettola sporca, o giravo da sola per il mondo quando potevo. Avevo trovato, proprio al Paiolo Magico, un lavoretto durante i fine settimana, che mi dava abbastanza denaro da permettermi di poter viaggiare un minimo; almeno, la mia nonna materna mi mandava frequentemente denaro in modo da potermi pagare almeno un posto dove stare. Certo, sarei potuta andare a vivere da lei per l'estate nella sua casa in Provenza, ma cercavo di evitarlo il più possibile. Non si poteva nemmeno esprimere quanto fosse imbarazzante per me la mia situazione, sebbene ne andassi sotto sotto fiera. Non era da tutti dissociarsi da una famiglia di Mangiamorte per non diventare come loro. La maggior parte dei miei coetanei con una situazione simile alla mia era già stata reclutata, o l'avrebbero almeno fatto molto presto. In ogni caso, non era nemmeno piacevole dover ammettere di essere povera e sola, nonostante venissi da una ricca famiglia aristocratica come gran parte dei miei compagni di casata: se avessero saputo, so benissimo come sarei finita, giudicata ogni giorno e schernita da tutti. Come non era nel mio interesse far sapere in giro la mia situazione, non lo era nemmeno per i miei genitori. Una figlia che si ribella e rifiuta di essere omologata a principi che non le appartengono non è di certo un vanto, come tantomeno aver creato una creatura tanto orribile ai loro occhi quale una metamorfomagus. Ero cauta, sempre, a non farmi vedere da alcun viso conosciuto mentre entravo nel locale, o tantomeno a lavorare li. Il resto dei lavoratori del posto era sempre stato cortese da me, tanto da capire la mia situazione e permettermi di nascondermi in caso arrivasse qualcuno che conoscevo.
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Role to: @Naughtyslytherin (2)

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Non che persone di alto rango quali i miei genitori o i loro “amici” frequentassero tali locali, ovviamente. Assorta nei miei pensieri, vidi uno studente della mia casata passare nella strada dove la finestra accanto a me dava la vista: l'avevo sempre trovato particolare, con quei magnetici occhi di colori diversi . Certo, non che il fisico prestante e in generale il suo aspetto fossero da meno. Mi sentivo terribilmente sola, e forse avevo trovato la soluzione. Picchiettai con il pugno sul vetro della finestra per ottenere l'attenzione di Malcolm Baddock, che di fatto accadde e lo salutai con un flebile cenno della mano nella speranza che sarebbe entrato a farsi offrire un drink. A mali estremi -in fondo- estremi rimedi.

Role to: @depthinsomnia

Una schiera di banchi ed una sala silenziosa: seduta in fondo alla classe, tamburellavo nervosamente con le unghie sul tavolo. Sapevo il motivo per il quale ero stata convocata in quell'aula della scuola. I miei risultati scolastici erano penosi, come sempre erano stati, ed il mio comportamento nei confronti dei docenti sempre peggiore. Inizialmente, i professori pensavano fosse per il mio trasferimento da Beauxbatons ad Hogwarts, ma sbagliavano. Poi, credevano che semplicemente non mi impegnassi o che fossi semplicemente disinteressata. Errato anche quello. Infine, avevano decretato che semplicemente stessi passando un periodo adolescenziale "ribelle ed immaturo", come essi stessi avevano pronunciato. La verità era che, per quanto provassi a concentrarmi, ogni cosa sembrava più importante dello studio. Semplicemente non riuscivo ad impegnarmi seriamente in alcuna materia, se non forse per Pozioni, per la quale avevo sempre nutrito un fortissimo interesse. Era più forte di me, trovavo continuamente ulteriori svaghi pur di non studiare, ma non in modo volontario: neppure in una sala bianca, spoglia, e con la mia -ex- tutor ero riuscita a capire bene gli argomenti. Non era colpa mia, continuai a ripetermi mentre aspettavo impaziente che qualcuno entrasse nella sala. Che di fatto successe molto presto, in realtà, sebbene la figura che varcò la soglia fosse inaspettata. “Mi hanno appioppato un altro dannato tutor„ pensai in un primo momento, ma successivamente riconobbi il ragazzo che si sedette qualche banco più avanti del mio. Era, in effetti, uno studente Ravenclaw che veniva spesso giudicato come strano, in quanto dai risultati a detta di altri "mediocri". I capelli scuri, ricci, gli incorniciavano il viso dall'espressione costantemente scocciata, o imbronciata. Era, in effetti, proprio un bel giovane, ma con una sorta di aura negativa attorno -o almeno, era ciò che io percepivo. Mi scossi i capelli, grigi, con la mano in modo annoiato, osservandolo per qualche minuto in attesa che un professore ci raggiungesse. Dopo attimi interminabili di silenzio imbarazzante, mi decisi a fare qualcosa; difatti, mi alzai sedendomi al tavolo affianco al suo, posai il gomito al tavolo in modo da sorreggere il mio capo sulla mano e sfoderai un piccolo sorriso che in realtà era più simile ad un ghigno: non ero mai stata brava con i sorrisi sinceri, sembravano più smorfie di scherno anche quelle poche volte in cui non lo erano.
«Che spasso stare qui, non trovi?»

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