Parla di te. Cerca di descriverti nel miglior modo possibile. Non è una domanda, ma poco importa. Spesso ci fermiamo alle apparenze, per questo vorrei sapere cosa pensi veramente di te stessa.
Il mio nome, all'anagrafe, è Erica, ma io non lo sopporto. Quindi fingo di non avere un nome, ma molti soprannomi. Amo chi mi trova dei soprannomi, mi fanno sentire molto più me stessa di quanto succede quando mi chiamano con il mio nome.
Ho diciotto anni, due mesi e venti giorni. Mi sento una bambina, ancora piccola e indifesa, ma al contempo una donna con un passato molto duro alle spalle, che è cresciuta troppo in fretta.
Ho un vuoto dentro di me, una paura costante: essere abbandonata. Ho il terrore di trovare qualcuno e perderlo per strada, ma nonostante ciò mi affeziono alle persone continuamente, sperando che siano diverse, che non se ne vadano. Mi ci attacco, piena di fiducia, e poi le vedo svanire e farmi tornare con il cuore spezzato a cercare di rimettere insieme i pezzi con un po' di colla. Continuamente.
Scrivo, scrivo per vivere, perché la scrittura è il mio respiro. Suono per restare in piedi e non buttarmi a terra.
Scrivo di fantasia, d'amore e di paura; suono batteria, basso e ukulele.
Scrivo con amore; suono con passione.
Vivo perché scrivo, suono perché vivo.
Ho dolcezza da vendere, parole da regalare, speranze ancora non del tutto disilluse che voglio realizzare.
Ho il sogno di scappare via da questo mondo e rifugiarmi in un posto più mio, dove poter essere cullata da dolci abbracci e dove trovare finalmente una vera e propria famiglia.
Sogno di avere un sorriso, tra Nothing else matters dei Metallica ed Echoes dei Pink Floyd; tra Harry Potter e Sette minuti dopo la mezzanotte.
Questa sono io: un sogno astratto. Sono le luci dell'alba che nessuno vede, sono quella prefazione all'inizio di un libro che nessuno si cura di leggere, sono la lancetta dei secondi per lo più irrilevante, sono quella canzone che si ascolta per radio, carina, ma che non si conosce e quindi si dimentica.
Ho diciotto anni, due mesi e venti giorni. Mi sento una bambina, ancora piccola e indifesa, ma al contempo una donna con un passato molto duro alle spalle, che è cresciuta troppo in fretta.
Ho un vuoto dentro di me, una paura costante: essere abbandonata. Ho il terrore di trovare qualcuno e perderlo per strada, ma nonostante ciò mi affeziono alle persone continuamente, sperando che siano diverse, che non se ne vadano. Mi ci attacco, piena di fiducia, e poi le vedo svanire e farmi tornare con il cuore spezzato a cercare di rimettere insieme i pezzi con un po' di colla. Continuamente.
Scrivo, scrivo per vivere, perché la scrittura è il mio respiro. Suono per restare in piedi e non buttarmi a terra.
Scrivo di fantasia, d'amore e di paura; suono batteria, basso e ukulele.
Scrivo con amore; suono con passione.
Vivo perché scrivo, suono perché vivo.
Ho dolcezza da vendere, parole da regalare, speranze ancora non del tutto disilluse che voglio realizzare.
Ho il sogno di scappare via da questo mondo e rifugiarmi in un posto più mio, dove poter essere cullata da dolci abbracci e dove trovare finalmente una vera e propria famiglia.
Sogno di avere un sorriso, tra Nothing else matters dei Metallica ed Echoes dei Pink Floyd; tra Harry Potter e Sette minuti dopo la mezzanotte.
Questa sono io: un sogno astratto. Sono le luci dell'alba che nessuno vede, sono quella prefazione all'inizio di un libro che nessuno si cura di leggere, sono la lancetta dei secondi per lo più irrilevante, sono quella canzone che si ascolta per radio, carina, ma che non si conosce e quindi si dimentica.
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Vendo lattuga;
★ Jade ★
Michele D.